Una nuova ricerca propone un nuovo strumento per individuare esattamente quando il pensare al coronavirus (covid-19) diventa disfunzionale e assume i connotati di uno dei più noti disturbi del pensiero, ovvero il disturbo ossessivo. Lo studio è stato pubblicato in Brain, Behaviour and Immunity.
Con l’emergere del coronavirus si è assistito ad un’esplosione di informazioni polarizzate in tutti i media. La natura incerta e in evoluzione della pandemia porta alla produzione di costanti aggiornamenti e notizie che influenzano la vita di tutti i giorni e che spesso provocano ansia in molti individui. L’autore dello studio, Sherman A. Lee, ha voluto indagare sugli schemi di pensiero correlati al COVID-19 ed identificare quando questi schemi diventano disadattivi.
Lee spiega: “Un ragionevole livello di attenzione e riflessione sulle informazioni COVID-19 può aiutare le persone a rimanere al sicuro durante la crisi, ma pensare in modo troppo inquietante a questa malattia infettiva può essere debilitante e malsano“.
Lo studio ha esaminato i dati dell’indagine eseguita su due campioni, formati da uomini e donne, provenienti da tutti gli Stati Uniti. Il primo campione è stato raccolto dall’11 al 13 marzo 2020 e ha coinvolto 775 adulti con un’età media di 30 anni. Il secondo campione è stato raccolto dal 23 al 24 marzo ed era composto da 398 adulti con un’età media di 32 anni.
Lee ha analizzato i dati e identificato quattro modelli di pensiero disordinato rispetto a COVID-19. Le analisi statistiche hanno riscontrato che i quattro elementi erano altamente affidabili e sono stati utilizzati per stabilire il livello di ossessione attraverso lo strumento OCS (Obsession with COVID-19 Scale).
I quattro schemi di pensiero sono i seguenti:
- “Avevo pensieri inquietanti sul fatto che avrei potuto contrarre il coronavirus”,
- “Avevo pensieri inquietanti sul fatto che alcune persone che vedevo potessero avere il coronavirus”,
- “Non potevo smettere di pensare al coronavirus”,
- “Ho sognato il coronavirus”.
Per determinare la validità costruttiva dell’OCS, Lee ha esaminato la sua associazione con diversi altri indicatori di stress mentale. Le analisi di correlazione hanno scoperto che punteggi elevati di OCS erano correlati a una moltitudine di problemi psicologici come:
- ideazione suicidaria,
- uso di alcol/droghe,
- crisi spirituali,
- estrema disperazione,
- ansia da coronavirus.
Lee ha quindi deciso di determinare quale fosse la quantità di pensiero disordinato relativo al COVID-19, nell’arco di due settimane, che indicherebbe una franca disfunzione. L’analisi della curva ROC ha determinato che un punteggio pari o superiore a 7 rivelato dall’OCS indicava schemi di pensiero disfunzionali.
Lee ha quindi spiegato come potrebbero apparire questi criteri nella vita di tutti i giorni, indicando che in una prospettiva pratica, la disfunzione cognitiva relativa al COVID-19 corrisponderebbe allo sperimentare, per almeno dai tre ai sette giorni, eventi come:
- sognare il coronavirus,
- pensare ripetutamente al coronavirus,
- avere pensieri inquietanti di avere contratto il coronavirus,
- avere pensieri inquietanti su particolari individui che potrebbero avere il coronavirus”.
Dato che l’analisi ha collegato l’OCS a una pletora di esiti avversi, come l’uso di droghe e pensieri suicidi, Lee incoraggia i professionisti della salute e i responsabili politici ad affrontare questo tipo di disturbi del pensiero legati alla pandemia di coronavirus.
Lo studio
- “How much “Thinking” about COVID-19 is Clinically Dysfunctional?“, Sherman A. Lee. Science Direct – DOI:10.1016/j.bbi.2020.04.067
Crediti immagine: prostooleh