L’ateismo sarebbe associato alla restrizione abituale delle proprie manifestazioni emotive, secondo una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Psychology of Religion and Spirituality. Le scoperte hanno implicazioni sui pregiudizi anti-atei ed inoltre spiegherebbero il motivo per cui alcuni sono attratti da una visione del mondo ateistica.
“Essere credenti o non credenti sono spesso considerate il fondamento delle visioni del mondo delle persone, e la rabbia, la pietà e le emozioni connesse sono spesso dirette verso coloro le cui visioni del mondo non corrispondono alle nostre. Questa nuova ricerca esplicita una profonda ironia: credere o non credere sono condizioni modellate, in parte, da ciò che facciamo con le nostre emozioni“, ha affermato Christopher T. Burris, autore del nuovo studio e professore di Psicologia presso la St. Jerome’s University.
“Questa linea di ricerca è iniziata con una scoperta casuale durante l’esame di dati demografici condotto oltre un decennio fa. Si quindi è evoluta in un articolo scientifico del 2011 (link a fine pagina) che ha dimostrato come gli atei avessero riportato emozioni positive e negative meno intense rispetto ai credenti religiosi. Il nuovo documento affronta le domande di follow-up sul perché e sulle conseguenze eventuali“, ha spiegato il ricercatore.
Burris ha intervistato 1.059 studenti universitari di psicologia riguardo alle loro credenze religiose e gli ha fatto completare una valutazione delle loro tendenze nella regolazione delle emozioni. Circa la metà dei partecipanti si identificava come cristiana, mentre il 30% era identificato come agnostico o non religioso. Il 15% identificato come ateo. Il resto identificato come musulmano, indù, buddista, ebreo o altro.
Rispetto alle persone religiosamente affiliate e alle persone agnostiche/non religiose, Burris ha scoperto che gli atei auto-identificati avevano maggiori probabilità di riferire di essere coinvolti nella soppressione emotiva. In altre parole, gli atei avevano maggiori probabilità di concordare con affermazioni come “Quando provo emozioni positive, sto attento a non esprimerle”.
Tuttavia, non vi era alcuna differenza tra atei e altri partecipanti quando si trattava dell’uso della rivalutazione cognitiva come strategia di regolazione delle emozioni (“Controllo le mie emozioni cambiando il modo in cui penso alla situazione in cui mi trovo”).
Ateismo: strategie di regolazione emotiva tramite rivalutazione cognitiva e soppressione emotiva
Per capire meglio perché l’ateismo è legato alla soppressione emotiva, Burris ha condotto un esperimento con 247 studenti universitari, attraverso il quale ha scoperto che i partecipanti a cui era stato chiesto di nascondere le proprie emozioni avevano meno certezze nella vita dopo la morte rispetto a quelli incaricati di sentirsi liberi di esprimere le proprie emozioni. Ma questo era vero solo tra coloro che preferivano usare la soppressione rispetto alla rivalutazione come strategia di regolazione delle emozioni.
In un secondo esperimento, 8 studenti universitari atei e 8 affiliati ad una religione furono registrati mentre descrivevano una recente esperienza che li faceva sentire frustrati o infastiditi. Un campione di 100 studenti universitari ha quindi guardato i video con il suono spento e valutato l’espressività emotiva, l’affidabilità e la simpatia di ciascun oratore. I partecipanti che hanno guardato i video non erano a conoscenza dell’affiliazione dei soggetti ripresi nel video.
Burris ha scoperto che gli atei erano visti in media come meno emotivamente espressivi rispetto agli individui religiosi, specialmente quando si trattava di mostrare emozioni positive.
“Rispetto ai non atei (includendo quindi agnostici, non religiosi e credenti), gli atei non hanno maggiori probabilità di gestire le proprie emozioni pensando diversamente alle situazioni. Gli atei hanno maggiori probabilità di resistere nell’esprimere le proprie emozioni, e apparentemente le persone lo notano“, ha detto lo studioso.
“Perché questo collegamento? La ricerca passata ha dimostrato che l’esperienza spirituale è stata collegata a emozioni positive. In assenza di esperienza spirituale alimentata da emozioni positive, una visione del mondo ateistica può sembrare più avvincente“. In altre parole, sembra che la soppressione espressiva spinga verso l’ateismo, piuttosto che il contrario.
“Una faccia da poker può essere utile quando si gioca a carte. Tuttavia, nelle situazioni quotidiane, le persone che sono difficili da leggere possono essere considerate inaffidabili perché sostanzialmente imprevedibili. Questo è un problema in quanto gli atei come gruppo sono già bersaglio di pregiudizi perché giudicati inaffidabili. La maggiore dipendenza degli atei dalla soppressione espressiva può ridurre le possibilità di abbattere tale pregiudizio attraverso interazioni positive individuali con i non atei“, ha spiegato Burris.
Ateismo ed emozioni: considerazioni finali sullo studio condotto
Un problema sostanziale è che le persone del campione di studio sono state esaminate in un unico momento, e soprattutto nell’età adulta emergente.
Tuttavia, non si prevede che né le visioni del mondo né le strategie di regolazione delle emozioni rimangano stabili nel tempo.
“Pertanto, uno studio di follow-up dovrebbe implicare il monitoraggio dei cambiamenti in entrambe le categorie, credenti e non credenti, per vedere se i cambiamenti nella soppressione espressiva possano predire le fluttuazioni nel verificarsi di esperienze che le persone etichettano “spirituali”, così come i corrispondenti cambiamenti nelle loro visioni del mondo“.
Lo studio
- “Poker-faced and godless: Expressive suppression and atheism“. Burris, C. T. (2020).
Psychology of Religion and Spirituality. Advance online publication. DOI:10.1037/rel0000361
Riferimenti supplementari
- “Hearts strangely warmed (and cooled): Emotional experience in religious and atheistic individuals“. Burris, C. T., Petrican, R. (2011).
International Journal for the Psychology of Religion, 21(3), 183–197.
DOI:10.1080/10508619.2011.581575
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